Negli anni ho scritto storie stupide e storie belle, storie tristi e storie allegre. In questa pagina c'è una piccola selezione di racconti. È giusto un piccolo assaggio, un aperitivo per stimolare la voglia di leggere (che non fa mai male).
È difficile spiegare cos’è il meltemi se non l’hai mai ascoltato. È come il respiro di un gigante, un soffio che viene da lontano, dalle montagne aride dell’Anatolia e vola sul Bosforo e su Costantinopoli – perché questo è il vero nome di Istanbul per tutti i greci – poi si allunga sul mare e ne cambia i colori, lo riempie di creste bianche e di onde scure, pronte ad ingoiare le barche troppo piccole per sfidare quel vento potente.
È qualcosa che non finisce mai, che ti fa sentire piccolo piccolo come una formichina, aggrappata alla terra per non farsi portare via. È un rumore che non ti entra solo nelle orecchie, ma ti fa vibrare tutto il corpo come se non potessi mai più trovare la pace e la tranquillità di una giornata calma. Non è un vento, è il respiro di Dio.
Era lui, non c'era dubbio: gli stessi occhi azzurri, penetranti, sotto un caschetto biondo eredità di qualche bisnonno europeo, a incorniciare un volto dove si vedevano i segni di mille razze diverse. Perché veniva da Mendoza, Argentina, una terra dove si sono mescolati popoli e storie da tutti gli angoli del mondo per generare miti come il Boca Juniors, il River Plate, Lionel Messi e Maradona.
Capri è un posto famoso: c’è sempre tanta gente che viene da tutto il mondo, è sempre piena di turisti.
Però, d’inverno, basta allontanarsi dalla piazzetta per trovare luoghi in cui di turisti ce ne sono proprio pochi. E magari succedono cose che non ti aspetteresti, che non crederesti mai possano accadere sotto il cielo di Capri.
Nemmeno d’inverno, quando piove è il mare è grosso.
C'è una casa che conosco molto bene, tra le tante che vedo quando vado su e giù sulla mia locomotiva, sempre la stessa linea, due corse al giorno da quando ero un giovanotto con i baffoni neri e trent'anni di meno.
Ricordo che avevo preso servizio da poche settimane, quando sentii per la prima volta le ruspe che spianavano un terreno dietro il fiume, vicino ad una grande quercia. Dopo qualche mese la casa era pronta, e dal finestrino, passando a trenta all'ora sul curvone dopo il ponte, potevo guardare ogni giorno quello che succedeva.
Ah, a proposito: l'albero in questa foto non è una quercia, però mi piaceva.
La ragazza aveva i capelli rossi, ma così rossi che sembrava una Ferrari. Stava in equilibrio su tacchi altissimi, così alla prima frenata inciampò e mi salì sul piede con tutto il suo peso.
Dopo, le cose diventarono complicate. Perché, forse già lo sai, ma è meglio non fidarsi mai di quello che succede sui mezzi pubblici.
Questa è una storia di Nonno Fifolo, e comincia così:
Il professore cominciò la lezione grattandosi il naso, come faceva sempre, e poi spiegando che gli antichi greci non avevano YouTube e nemmeno TikTok. Però per loro questo non era un problema, perché di storie ne avevano inventate tantissime, solo che se le raccontavano invece di guardarle sul tablet. Le storie più belle si chiamavano miti, e i personaggi erano gli dèi e gli eroi, che sarebbero più o meno come i supereroi dei film di oggi: avevano poteri favolosi, potevano fare cose che per gli altri erano impossibili, ma si comportavano sempre come bambini capricciosi e combinavano dei casini tremendi litigando tra loro. Un po’ come Leonardo e Arianna.