C'è una casa che conosco molto bene, tra le tante che vedo quando vado su e giù sulla mia locomotiva, sempre la stessa linea, due corse al giorno da quando ero un giovanotto con i baffoni neri e trent'anni di meno.
Ricordo che avevo preso servizio da poche settimane, quando sentii per la prima volta le ruspe che spianavano un terreno dietro il fiume, vicino ad una grande quercia. Dopo qualche mese la casa era pronta, e dal finestrino, passando a trenta all'ora sul curvone dopo il ponte, potevo guardare ogni giorno quello che succedeva. Ci andò ad abitare un uomo sui quarant’anni con una donna molto più giovane, quasi una ragazzina. Dovevano essere tipi solitari: anche quando facevo il turno di domenica non vedevo mai visite, e davanti al cancello era parcheggiata sempre la stessa vecchia auto.
Un bel giorno sparirono tutti e due, e la casa rimase per un po' con le finestre chiuse. Pensavo che fossero finalmente andati a fare un viaggio, o magari che avessero avuto un bimbo, perché lei mi sembrava ingrassata negli ultimi tempi. Ma non avevo indovinato, perché dopo qualche settimana ricomparve solo il marito, che cominciò a fare un sacco di lavori in casa e in giardino: tinteggiava i muri, cambiava i vetri alle finestre, piantava alberi e potava le siepi. La moglie non c’era più.
Passarono pochi mesi, e nella casa della quercia apparve un’altra donna. Anche lei era giovane e carina, e aveva un’aria vagamente esotica. Si vedeva spesso abbracciata al marito, mentre si baciavano in giardino o sotto il patio, incuranti del treno locale carico di tanti occhi curiosi che passava a pochi metri da loro.
Questa giovane signora lasciò un segno evidente nella casa: cambiò il colore degli infissi, trovò delle tende di un colore allegro, sistemò un grande tavolo all’esterno dove pranzare d’estate. Ma un bel giorno anche lei sparì. Il marito rimase nella casa, continuando a fare apparentemente la solita vita: solo la moglie scomparve da un giorno all’altro. Ricordo che era quasi Natale, perciò immaginai che fosse andata a trovare una mamma lontana, e che l’avrei rivista dopo pochi giorni. Invece non tornò mai più, e al suo posto arrivò ancora un’altra donna.
Questa volta non era così giovane: sempre una ragazza in confronto al marito, che allora avrà avuto più di sessant’anni, ma insomma era una donna matura, e molto bella. Sembrava una persona abituata a vivere nel lusso, ma che ci faceva in una casa di campagna? A dire il vero lei usciva spesso: a differenza delle due donne di prima, per lunghi periodi non si vedeva in casa, e aveva anche un’automobile tutta sua, che a volte mancava anche per due o tre giorni.
La casa era cambiata. Sembrava che avesse raggiunto la maturità: c’erano molti alberi nel frutteto, il giardino era sempre curato, l’orto sembrava addirittura una corsia di supermercato, con lattughe ben allineate tra i pomodori e le carote. C’era aria di prosperità, solida come la grande quercia alla fine del giardino.
Poi, un giorno, sparì il marito.
Non saprei dire con precisione in quale giorno accadde, ma da un giorno all'altro la vita in quella casa cambiò: si cominciarono a vedere ospiti, piccoli gruppi che venivano la domenica con i bambini, e cucinavano carne alla brace in giardino. Alcune donne assomigliavano alla padrona di casa: stessi capelli biondi, stessa corporatura snella; forse erano sorelle, o cugine, e la famiglia sembrava numerosa. Quando arrivò l’estate, il grande tavolo all’esterno cominciò a fare gli straordinari: una volta riconobbi perfino il parroco, che mangiava soddisfatto un piattone di spaghetti in mezzo ad un’allegra compagnia. Era diventata più simpatica, quella casa, e fui contento di lasciarla così, quando feci il mio ultimo viaggio su quella linea.
Adesso sono in pensione, e ogni tanto, quando c’è il sole, esco a fare a piedi un pezzo di quella vallata che per tanti anni ho percorso in treno.
Quando sono arrivato alla casa della quercia ho visto subito che le finestre erano tutte chiuse, e non c’era l’auto davanti al cancello. Il cancello era aperto; sono entrato e ho fatto un giro, con calma, guardandomi intorno. Mi piace molto guardare le cose da un angolo che non potevo vedere dalla ferrovia, e scoprire che magari avevo immaginato delle cose completamente diverse dalla verità: per quella casa è successo proprio così.
In giardino ho visto tre alberi di limone, e appoggiata ad un muretto ho trovato una vanga. Sembrava che qualcuno avesse scavato da poco, perché sotto uno degli alberi la terra era smossa, e anche vicino agli altri due l’erba sembrava diversa dal resto del giardino.
Allora ho preso la vanga, e ho cominciato a scavare.
Perché l’ho fatto? Non so spiegare che cosa mi ha preso, perché certo non è una cosa normale entrare nella casa di uno sconosciuto e mettersi a scavare in giardino. So solo che all’improvviso mi è venuta una gran voglia, la vanga era proprio lì a portata di mano, e in fondo mi sentivo come se fossi a casa di un amico: ero passato tante volte a pochi metri da quella villetta che pensavo di conoscerne bene gli abitanti.
Ho trovato subito i tre scheletri, sotto i tre alberi di limone.
Il più vecchio doveva essere lì da molti anni, perché non c’era più nemmeno un brandello di carne attaccato, e anche il secondo sembrava seppellito da chissà quanto tempo, però i vestiti erano conservati bene, ed erano i vestiti di una donna.
Il terzo, invece, era facile da riconoscere: era il volto dell’uomo che ho visto tante volte in quella casa. È lui, ne sono sicuro, perché io i volti non li dimentico mai, anche se li ho visti soltanto una volta, da lontano, dal finestrino della mia locomotiva.
Ma adesso, Dio mio, che cosa posso fare?