Il professore cominciò la lezione grattandosi il naso, come faceva sempre, e poi spiegando che gli antichi greci non avevano YouTube e nemmeno TikTok. Però per loro questo non era un problema, perché di storie ne avevano inventate tantissime, solo che se le raccontavano invece di guardarle sul tablet. Le storie più belle si chiamavano miti, e i personaggi erano gli dèi e gli eroi, che sarebbero più o meno come i supereroi dei film di oggi: avevano poteri favolosi, potevano fare cose che per gli altri erano impossibili, ma si comportavano sempre come bambini capricciosi e combinavano dei casini tremendi litigando tra loro. Un po’ come Leonardo e Arianna, ma questa è un’altra storia.
Nei giorni di festa, invece di guardare un film, gli antichi greci andavano a sedersi nel teatro, che era sempre di fronte al mare in modo che ci si poteva godere il fresco della sera insieme con le storie che qualcuno raccontava. Per esempio, arrivava uno da Corinto e diceva “Ehi, ho sentito una cosa che ha fatto Ulisse l’ultima volta che è tornato a casa.” E tutti gli altri: “Davvero? Che cosa ha fatto? Vogliamo sapere!” Poi lo sai come succede: ognuno quando racconta una storia aggiunge una descrizione, inventa un particolare, modifica un dettaglio. Perciò la storia di Ulisse, che in realtà era andato a fare una vacanza in barca con i suoi amici per stare lontano dalla suocera rompiscatole, diventò un viaggio lunghissimo e lo chiamarono l’Odissea.
Insomma, tra le storie degli antichi greci ce n’erano tantissime belle e interessanti. Quel giorno il prof scelse quella di Arianna, una principessa figlia del re di Creta, del suo fidanzato Teseo e di Dioniso, cioè il dio del vino, che alla fine si innamorava di Arianna. Era una storia lunga e complicata, con un mostro che si chiamava Minotauro, un castello incantato che si chiamava Labirinto, il re Minosse e un sacco di altre cose strane. Leonardo ad un certo punto alzò la mano per chiedere se gli antichi greci avevano anche un dio dell’aranciata. Visto che avevano un dio del vino non gli sembrava una domanda tanto stupida, ma chissà perché si misero tutti a ridere. Comunque, la lezione era molto più interessante delle fiction alla televisione, anche perché non c’era pubblicità.
Suonò la campanella, e Arianna dal primo banco si girò con un sorrisone soddisfatto perché il professore aveva parlato per un’ora di una principessa che aveva il suo nome, e in quel momento lei si sentiva la ragazzina più importante del mondo. O della classe, almeno, che era quasi la stessa cosa. Tutte le sue amiche corsero intorno a lei per chiacchierare, commentando la storia e decidendo chi dei ragazzi della classe poteva essere Teseo e chi Dioniso. Naturalmente pensavano tutte a Fabio, il bello della classe, che secondo gli insegnanti passava più tempo a pettinare i suoi capelli biondi che non a studiare. Invece Leonardo, come al solito, stava solo soletto seduto nell’ultimo banco e meditava vendetta nei confronti della sorella: non era possibile che Arianna fosse sempre la più brava, la più precisa, la più simpatica, quella con i voti più alti, e adesso le dedicavano addirittura un’ora di lezione. Sarebbe diventata ancora più insopportabile di prima!
L’intervallo passò in fretta, e per la lezione successiva entrò in classe il re Minosse. Sì, doveva essere proprio lui, il professore di matematica: in fondo di cognome si chiamava “Greco” e magari era greco davvero come tutti quegli eroi strampalati. Era un professore simpatico perché sembrava un re vecchio e saggio, con il suo pancione e la barba bianca così lunga che ci si potevano fare le treccine.
Come al solito spostò un po’ la cattedra - altrimenti non c’entrava, con quella pancia! - si schiarì la voce e cominciò la sua lezione:
“Allora, oggi parleremo di una cosa molto interessante: i diagrammi di Eulero Venn. Dovete sapere che Eulero era un famoso matematico svizzero. Di nome si chiamava Leonardo, proprio come Leonardo da Vinci...”
A quel punto Leonardo saltò sulla sedia: finalmente si parlava anche di lui! Avrebbe potuto fare il figo con tutte le ragazze e dire che aveva lo stesso nome di un matematico famoso. Forse per questo non sentì nulla di quello che diceva il prof, e alla fine della lezione non aveva capito niente, tranne che quei diagrammi sembravano palline dell’albero di Natale e quando si mettevano uno sull’altro venivano fuori dei disegnini molto carini. Interessante, ma non tanto come la storia di Arianna e Teseo.
Dovete sapere che Leonardo e Arianna erano due gemelli. A guardarli non l’avresti detto: Arianna era bruna, magra, con degli occhioni neri e capelli ricci da vera mediterranea, mentre Leonardo era grande e grosso, con un ciuffone biondo e occhi così chiari che sembrava sempre addormentato. Il che era molto spesso vero, almeno durante le lezioni.
Andavano a scuola a Bruxelles, che è lontanissima dall’antica Grecia e dal suo sole. Infatti piove sempre, e quando non piove il cielo è grigio come la cravatta di un ragioniere. I loro genitori si erano trasferiti lì per lavoro, perciò Arianna e Leonardo andavano a Roma solo d’estate o durante le vacanze a trovare i nonni e a raccontargli tutte le cose che facevano. Per esempio, di quando andavano in metropolitana e si divertivano ad ascoltare tutte le lingue diverse, perché nella metropolitana di Bruxelles trovi gente che viene da un sacco di paesi. Un po’ come i turisti nella metropolitana di Roma, però a Bruxelles quelli ci abitano, non sono solo venuti per vedere il Colosseo.
Anche nella loro scuola c’erano ragazzi di tanti paesi diversi. La mamma diceva che era meglio così, perché in questo modo Arianna e Leonardo potevano imparare un sacco di cose che non avrebbero mai imparato in Italia. Infatti, per esempio, Leonardo aveva imparato tutte le parolacce in tedesco. Non era sicuro di saperle pronunciare bene, perché i ragazzi tedeschi ridevano sempre quando lui le diceva, però poi quando andava a Roma si divertiva tantissimo perché poteva dire a tutti “as fidanken!” e nessuno lo capiva.
Quel giorno il pulmino della scuola li lasciò come al solito dietro la piazzetta che si chiama Place Jourdan. Però non si dice come è scritto perché è un nome francese, e in francese leggi una parola ma poi dici una cosa completamente diversa da quella che è scritta, perciò Leonardo sbagliava sempre la pronuncia. Arianna diceva che Leonardo non sapeva parlare il francese perché loro erano immigrati, ma Leonardo non ci credeva, perché un suo amico, uno che giocava con lui a calcio, gli aveva detto che gli immigrati sono quelli poveri che abitano nei posti brutti, mentre loro erano ricchi perché andavano ogni anno in vacanza e abitavano in un bel quartiere proprio lì vicino.
Infatti, da quella piazza dovevano fare solo pochi passi per arrivare a casa. Ma la giornata era stata lunga, e tutti e due avevano fame. Guarda caso, proprio al centro di Place Jourdan c’è un bellissimo chiosco che fa le patatine fritte più buone di tutta la città.
Leonardo, che faceva sempre il diavoletto tentatore, ci mise pochi minuti per convincere la sorella, perché in fondo lei faceva finta di essere un’angioletta tutta perfettina che obbediva sempre alla mamma, ma poi i diavoletti li ascoltava, eccome.
“Va bene, prendiamoci le frites” disse Arianna. Le frites sarebbero le patatine fritte come si chiamano da quelle parti, e sono buonissime perché le cuociono in un olio speciale che è fatto con una ricetta supersegreta. Secondo un amico di Leonardo, uno che giocava con lui a calcio, è lo stesso olio usato nel motore delle Ferrari di Formula Uno e che le fa andare velocissime, ma Leonardo non ci credeva.
Quando mangi le patatine ci metti sopra una salsa, e lì cominciarono a litigare, perché a Leonardo piaceva il ketchup, mentre Arianna preferiva la salsa samurai, anche quella fatta con una ricetta supersegreta. Secondo un amico di Leonardo conteneva una goccia del sangue di un vero Samurai giapponese, ma Leonardo non ci credeva.
Come al solito vinse Arianna, e comprarono al chiosco un enorme cartoccio di patatine, un “cornet” come si dice a Bruxelles, coperte di salsa samurai gialla.
“La sai la storia della patatina magica?” disse Leonardo.
“Ma figurati, sarà una delle sciocchezze che ti raccontano i tuoi amici del calcio.”
Leonardo fece la faccia offesa: “Quelli del calcio, come dici tu, sono tutti più grandi di te e sanno un sacco di cose che tu non sai. E abitano tutti a Bruxelles da un sacco di anni, perciò sanno tutto di questa città. La patatina magica esiste dai tempi del re Carlo Settimo, un re famosissimo di tanti anni fa. Il suo mago di corte fece un incantesimo, e da allora ogni tanto in uno di questi cornet c’è una patatina speciale che ti fa venire i superpoteri. Per esempio ti permette di vedere attraverso i muri, oppure di prevedere il futuro, oppure ti ricordi a memoria tutta la tabellina del ventisette. Però dura poco: dopo un po’ ritorni com’eri prima.”
Arianna lo guardò poco convinta, prese una patatina, la immerse nella salsa e se la mangiò con aria soddisfatta. Leonardo si rese conto che se non si sbrigava a mangiare non ne sarebbero rimaste molte per lui. E poi pensò che non era proprio sicuro del nome di quel re famosissimo: forse era Carlo Quinto, non Carlo Settimo. Però Carlo Settimo suonava meglio, sembrava più importante.
Salirono per la strada che si chiamava rue du Cornet. Sì, “Cornet” proprio come il cornet delle patatine fritte. Secondo un amico di Leonardo, si chiamava così perché la gente quando aveva finito di mangiare le patatine buttava il cornet per la strada, ma Leonardo non ci credeva, anche perché la strada era sempre pulita.
A metà della salita c’era un cantiere perché stavano riparando una casa. Sulla strada avevano messo un cartello lunghissimo con la lista di tutti i lavori che dovevano fare, e proprio lì davanti era sempre parcheggiato un furgone con la scritta “EDILCRAC”. Arianna che è sempre saputella diceva che “EDIL” voleva dire edilizia, cioè costruzione delle case. Ma Leonardo non ci credeva, perché se per lavoro costruisci case non chiami la tua ditta “CRAC”, altrimenti la gente pensa che le tue case si rompono appena costruite. Comunque, Leonardo si era sempre chiesto che cosa stessero facendo lì dentro, e quel giorno si accorse che la porta era rimasta un po’ aperta. Si fermò un attimo e dette una sbirciatina senza avvicinarsi troppo, mentre sua sorella ne approfittava per sbafarsi altre due patatine. E anche una buona quantità di salsa.
“Guarda” disse Leonardo “la porta è aperta, potremmo andare a vedere che cosa c’è dentro.”
“Vai” disse Arianna con aria tranquilla. Quello che pensava era chiaramente: “Vai pure a dare un’occhiata con calma, io ho giusto bisogno di un paio di minuti per mangiarmi tutte le patatine e leccarmi la salsa dalle dita in santa pace.”
Leonardo la guardò con aria preoccupata. Non per lei, ma per le patatine. Poi però pensò che un vero uomo deve saper prendere delle decisioni importanti nella vita, anche quando questo significa rischiare di restare a stomaco vuoto. Tanto, la salsa samurai non gli piaceva. Invece, dietro quella porta c’erano chissà quanti bellissimi segreti nascosti...
“Va bene, aspettami qui un minuto, vado a dare solo un’occhiata.” Spinse la porticina con il piede e si infilò dentro, con sprezzo del pericolo alla ricerca di nuove avventure. Proprio come Teseo, solo che lui non si sarebbe mai fidanzato con una che si chiamava come sua sorella.
Appena entrato pensò che forse non aveva avuto una buona idea. Davanti a lui si vedeva una grande sala ma non c’era nessuna lampadina accesa, solo pochissima luce che veniva da una specie di vetrata colorata sul fondo. C’era odore di formaggio pecorino, quello forte. Leonardo fece due passi e cominciò a sentire una musica. Era un pianoforte suonato divinamente, come se un grande concertista fosse nascosto proprio lì dietro. E la musica sembrava cambiare con i suoi movimenti: mentre Leonardo camminava era una specie di marcetta che faceva “zum pa zum pa” andando a tempo con i suoi passi, ma quando si fermava la musica si trasformava in un arpeggio dolcissimo. E dopo un minuto cominciò un valzer bellissimo (cioè quello che fa “zum pa pa, zum pa pa” invece di “zum pa zum pa”) come se lo volesse invitare a ballare.
A questo punto Leonardo, nonostante tutto il suo coraggio, se la stava quasi facendo addosso. Si girò, tornò verso la porta, e vide che un colpo di vento la stava facendo chiudere. La porta cigolava sui cardini e faceva “gneeeeeeeek” come un’oca con il collo arrugginito (in realtà Leonardo non aveva mai visto un’oca con il collo arrugginito, però insomma dava questa idea). Con un balzo da tigre affamata si precipitò fuori e riuscì ad infilarsi per un pelo nella porta ancora aperta (no, non aveva mai visto nemmeno una tigre affamata). Proprio in quel momento Leonardo sentì un urlo diabolico dietro di lui, una cosa come “Uah uah uah uah uah...”, insomma come quello che faceva sua sorella quando entrava in bagno prima di lui e chiudeva la porta a chiave.
Fu molto contento di rivedere la luce del sole (per modo di dire, perché era pur sempre a Bruxelles, e il sole era ben nascosto dietro trentatrè strati e mezzo di nuvoloni grigi). Guardò il cornet delle patatine ormai vuoto, poi guardò la sorella che si stava leccando il pollice con aria molto soddisfatta e le disse: “Ci sono i fantasmi! Lo giuro, sono entrato lì dentro e ho sentito i fantasmi! Prima una musica bellissima. Poi un urlo...”
Arianna disse: “Ah, sì? Va bene, vado a vedere. Nel frattempo, butta questo nel cestino.” E dette al fratello il cornet dove non era rimasta nemmeno una briciola. Poi si infilò nella porta con aria tranquilla.
Dopo nemmeno un minuto uscì fuori tutta sorridente. “Sei sicuro che fossero fantasmi? C’è qualcuno che suona musica latina. Bella, devo dire. Però mi piace di più l’hip hop.”
“Non hai sentito il pianoforte? E l’urlo?”
“Quale urlo? No, solo della bella musica e un profumino di menta. Sarà carino questo posto, quando finiscono di sistemarlo. Magari ci fanno una discoteca.”
Arrivarono a casa, e lì le cose non andarono meglio. Il papà di Arianna e di Leonardo è un ingegnere, uno di quei tipi che non credono facilmente a storie fantasiose. A cena, quando Leonardo si mise a raccontare di fantasmi, pianoforti invisibili e cose del genere, disse soltanto: “Mi sa che bisognerebbe controllare bene gli ingredienti delle salse di quel chioschetto. Magari ci è finita dentro qualche sostanza un po’ strana.”
“No, no” protestò Leonardo: “devo aver mangiato la patatina magica e per questo mi sono successe tutte queste cose bellissime. Sarà la mia settimana fortunata, lo sento!”
La mamma dall’altro lato della tavola fece sentire la sua voce: “I ragazzi devono imparare a sviluppare la fantasia, non ci vedo niente di male. Non li rimproverare per queste cose. A proposito, pulisci tu la cucina stasera, vero? Ricordati di mettere i bicchieri nel ripiano giusto.”
Da quel giorno Leonardo cominciò a pensare di aver fatto un sogno, anche perché Arianna continuava a dire che in quella stanza non c’erano tutte le cose che lui aveva visto. Però i sogni non sono mai così strani come quello che gli era successo, e in più gli sembrava di continuare a sentire una musica bellissima come se avesse delle cuffiette invisibili infilate nelle orecchie.
Passarono tre giorni, e arrivò la festa di compleanno di Fabio, quello con i capelli biondi sempre pettinati. A Leonardo stava antipatico, mentre Arianna ne era segretamente innamorata come tutte le sue amiche. Ma insomma, non si dice di no ad una festa di compleanno, per cui ci andarono tutti e due. Fabio abitava lì vicino, proprio a fianco del cantiere misterioso, e Leonardo sperava che magari sarebbe riuscito a capire qualcosa in più su quella casa piena di fantasmi.
La festa fu divertente, anche se la torta non sapeva di niente e le pizzette erano sparite ancora prima di arrivare, forse perché Arianna e le sue amiche avevano fatto una visitina in cucina senza farsi notare. Ma anche senza pizzette si divertirono molto, e Arianna raccontò a tutti la storia di Arianna e Teseo che avevano imparato a scuola, manco fosse stata veramente lei la protagonista.
Forse avevano fatto un po’ troppo chiasso. Leonardo non era sicuro, in fondo avevano soltanto giocato a rugby nel salotto, ma la mamma di Fabio sembrava avere idee diverse su quello che si fa durante una festa di compleanno, e a un certo punto invitò gentilmente tutti ad andarsene, dicendo che si era fatto tardi. Forse “gentilmente” non è la parola adatta, diciamo che l’invito era piuttosto chiaro. Così Leonardo ed Arianna si trovarono sotto il portone di casa di Fabio. Erano a pochi passi da casa loro, ma non avevano le chiavi e i loro genitori erano usciti dicendo che sarebbero passati a prenderli, perciò dovevano aspettare lì sul marciapiede. Però proprio di fronte c’era sempre quella porticina del cantiere aperta, invitante come non mai.
Leonardo ripensò a quello che era successo, e decise che quando era entrato lì dentro forse aveva avuto un po’ di paura, ma in fondo mica tanta. Magari poteva entrare un’altra volta, giusto per controllare se per caso c’era qualcosa di nuovo. Lo propose alla sorella:
“Che ne dici di andare a dare un’occhiata?”
“Perché no?” disse lei, tranquilla e saputella come al solito. Entrarono zitti zitti e questa volta si richiusero la porta dietro, per non farsi vedere dalla strada.
La stanza sembrava cambiata. Non c’era più musica, né urla o rumori preoccupanti, e una luce azzurrina arrivava da una finestra aperta in fondo. Ma c’era anche prima quella finestra? Strano, Leonardo non la ricordava.
Addossati alle pareti si vedevano un sacco di mobili vecchiotti e tantissime cose interessanti, come una clessidra, un mappamondo a forma di pera, una bicicletta gialla con le ruote blu, un telescopio e un telefono di quelli antichi, con il filo. Sembrava la stanza delle meraviglie. Come potesse funzionare un mappamondo a forma di pera era un mistero veramente interessante.
Arianna che è sempre stata molto curiosa si mise a scartabellare tra tutte quelle cose, mentre Leonardo cominciava ad avere voglia di andare a casa. Anche perché aveva fame: la torta non gli era piaciuta, e le pizzette se le erano sbafate tutte le amiche di Arianna.
Trovò una strana cosa che sembrava un recipiente per l’olio e lo fece vedere alla sorella.
“Uh, sembra la lampada di Aladino” disse lei. “Prova a strofinarla e a chiamare il genio, magari viene.”
Non aveva nemmeno finito di dire la frase che – pof! – si vide una nuvoletta di fumo, ma una cosa piccola, come quando il nonno faceva le scorregge pensando che nessuno se ne accorgesse – invece si sentivano benissimo, e la puzza era terribile. Questa volta però non si sentiva nessuna puzza, solo una specie di odore di lavanda, e in mezzo alla nuvoletta c’era il genio della lampada. Era vestito con un paio di jeans, una camicia bianca, un’incredibile giacca gialla, una cravatta rossa e scarpe marca “Niko”.
“E tu chi sei?” fece Arianna, per niente impressionata. Leonardo in realtà stava tremando, ma solo un pochino, come quando una finestra si apre all’improvviso e l’aria gelata ti fa sentire un brivido di freddo.
“Io sono il genio della lampada. Ma non le leggete più le fiabe classiche, a scuola? Che ragazzi ignoranti!”
“Ignorante sarai tu! Io sono Arianna, e ho lo stesso nome di quella Arianna che aiutò Teseo a uccidere il Minotauro.”
“Ah sì, una simpaticona. L’ho conosciuta.”
“Come sarebbe a dire?”
“Domani compio seimilacentoquarantaquattro anni, mia cara. Ne ho viste di cose...”
“E se hai visto tante cose, non sai nemmeno che quelle scarpe sono false? La marca vera si chiama Nike, non Niko. Sono sicura che le hai comprate da qualche imbroglione su una bancarella, o magari su internet.”
Il genio si guardò le scarpe, un po’ perplesso. “La scarpa destra l’ho comprata su una bancarella. La signorina che me l’ha venduta non sembrava un’imbrogliona, però non aveva l’altra, e allora ho cercato ‘scarpa Niko sinistra numero 48’ su internet e me l’ha consegnata un drone con sei eliche e le scritte in cinese. Tu dici che mi hanno imbrogliato? In fondo le scarpe mi piacevano e costavano poco.”
Leonardo disse timidamente: “Ma se sei un genio, allora puoi esaudire i desideri.”
“Certo” rispose lui. Però devi esprimerti chiaramente, perché non ci sento più tanto bene. Sai, l’età... Forse dovrò mettermi l’apparecchio acustico.”
“Beh, allora io vorrei una pizza mozzarella pomodoro e acciughe.”
“Vuoi una pezza di ravella pandoro e rughe?”
“No, una pizza! Quelle affamate delle amiche di Arianna hanno mangiato tutto loro, alla festa, e io non ho mangiato niente!”
Arianna si arrabbiò un pochino, e stava per rispondere per le rime, ma si fermò perché c’era stato un altro “pof” e il genio era sparito di nuovo, forse era tornato nella lampada.
“E ora che cosa facciamo?” Disse Leonardo.
“Ecco, è tutta colpa tua. Se non dicevi sciocchezze, magari il genio restava qui e gli potevamo chiedere cose molto più importanti.” Cominciarono a litigare, come avevano sempre fatto da quando erano piccolissimi, e stavano quasi per darsele di santa ragione quando sentirono qualcuno che bussava alla porta.
Leonardo andò ad aprire, e vide un giovanotto con lo zaino portapizze e un gran sorriso: “Buongiorno, ho una pizza mozzarella pomodoro e acciughe per voi. L’aranciata è in omaggio.” Mise il cartone delle pizze in mano a Leonardo, l’aranciata in mano ad Arianna, si rese conto dalla faccia di quei due che non gli avrebbero mai dato la mancia, perciò si girò e se ne andò senza nemmeno salutare.
Arianna e Leonardo non sapevano che cosa fare. O meglio, non sapevano che cosa pensare, perché che cosa fare lo sapevano benissimo: mangiare la pizza. Leonardo se ne sbafò più di metà, ma anche Arianna, nonostante tutte le pizzette che aveva già mangiato alla festa, aveva ancora un discreto appetito.
“E adesso che si fa?”
“Magari il genio è ancora lì dentro e poteva fare qualcosa di buono per noi. È sempre colpa tua, che fai un sacco di pasticci.”
Si guardarono negli occhi per un attimo e decisero di chiamarlo: “Genio! Genio!” prima piano piano, poi un po’ più forte perché avevano capito che non ci sentiva bene.
Si vide un’altra nuvoletta – pof! – questa volta con un leggero odore di buccia di mandarino, quello che ti pizzica il naso però è buonissimo. E in mezzo alla nuvoletta, per la seconda volta, ecco il genio.
Leonardo disse: “Scusa, genio, ma qualche giorno fa non eri qui. Dov’eri?”
“Ah, ero nel mio paese, in Arabia.”
“Allora anche tu sei un immigrato.”
Il genio li guardò un po’ perplesso. “Non lo so. Che vuol dire immigrato?”
“Uno che viene da un’altro posto.”
“Ah, sì, allora certo che sono un immigrato. Ma siamo tutti immigrati, perché la nonna del nonno della nonna di tuo nonno non era mica nata qui.”
“Come fai a saperlo?”
“Mi sono buttato a indovinare. Perché, non è vero?”
Arianna si era scocciata di aspettare e disse: “Ascolta, genio, questa volta il desiderio tocca a me. Mio fratello ha già chiesto una cosa stupida, io invece voglio chiedere una cosa utile, e voglio essere buona.”
“Sono tutto orecchi” disse il genio, inchinandosi leggermente.
“Ecco, bravo, mi sembra un’ottima idea” disse Arianna sarcastica, anche se non aveva mai capito che cosa vuol dire “sarcastica”, perciò lei pensava di essere semplicemente spiritosa. “Voglio farti un regalo per il tuo compleanno: voglio che tu faccia una visita dall’otoringo… come si chiama... Insomma, il medico delle orecchie. Così ti darà un apparecchio acustico come quello del nonno, e finalmente potrai sentire quello che gli altri ti dicono!”
“Ah, benissimo” disse il genio. Infilò la mano nella tasca della giacca e tirò fuori una specie di telefono, che però era pieno di brufoli rossi e aveva le orecchie pelose. Non so, magari era un telefono normalissimo con una cover un po’ strana, però faceva una certa impressione, sembrava che avesse preso una brutta malattia. Il genio si mise ad armeggiare con le sue ditone enormi, mentre con la lingua si leccava i baffi come uno che è concentratissimo. Dopo un po’ rimise il telefono (o quello che era) in tasca, e disse con aria soddisfatta: “Benissimo. Ho prenotato la visita tra tre settimane dal miglior otorino della città. Purtroppo prima non aveva posto. Ma non fa niente, grazie del pensiero!” E con un'altra nuvoletta di fumo scomparve di nuovo dentro la lampada.
Ci fu un altro momento di silenzio.
“Sei soddisfatta, adesso? Perché hai sprecato un desiderio per far contento lui?”
“Mi sembrava giusto. In fondo è una brava persona.” Poi Arianna prese quella sua aria da prima della classe che nessuno sopportava, e disse a Leonardo: “Comunque io sono buona e gentile, non sono mica egoista come te. Perciò adesso, se vuoi, ti lascio il terzo desiderio. Puoi sceglierlo tu, chiedi quello che vuoi.”
Leonardo si mise a pensare. Quando faceva così la sorella lo prendeva in giro, gli diceva di non sforzarsi troppo altrimenti gli sarebbe venuto il mal di testa. Perché Leonardo era grande, forte, ma le cose un po’ intellettuali… ecco, non erano per lui. E questo si vedeva anche a scuola, con quelle pagelle piene di brutti voti. Proprio pensando alla pagella gli venne in mente che lui un desiderio ce l’aveva. E allora disse ad alta voce: “Lo so! L’ho trovato! Genio, vieni fuori!”
Pof – la solita nuvoletta di fumo, che questa volta era rosa come la casa di Barbie ma aveva l’odore di una bistecca alla brace. Forse il genio si stava preparando la cena e dentro la lampada aveva un frigorifero pieno di roba buona e magari anche il barbecue. Ma certo, perché altrimenti come avrebbe fatto a vivere lì dentro?
Insomma, il genio uscì e fece un gran sorrisone.
“Dimmi, che cosa vuoi? Attenzione, ricordati che questo è il terzo desiderio, poi non ce ne saranno altri per voi due.”
“Certo, lo so bene! Ascoltami: alla fine dell’anno scolastico voglio una pagella bellissima.”
“Ai tuoi ordini!” Disse il genio e ritornò nella lampada. Sembrava avere molta fretta, forse anche perché l’odore di bistecca adesso sentiva un po’ di bruciato. Magari aveva lasciato il barbecue acceso nella lampada e doveva rientrare prima di bruciare tutta la cena.
Arianna e Leonardo si guardarono negli occhi.
“E mo’ che facciamo?”
Arianna provò a strofinare di nuovo la lampada, a chiamare il genio con la sua voce più gentile, poi ci provò Leonardo, ma insomma non successe niente.
Alla fine Arianna disse che ne aveva abbastanza: quella lampada non funzionava più. Magari avevano sognato tutto, ed era solo un pezzo di latta vecchio.
Disse: “Io me ne vado.” Anche Leonardo era d’accordo, però lui era sicuro che non era stato un sogno. C’era la prova: il cartone della pizza era lì davanti ai suoi occhi ed era ancora un po’ tiepido. E poi c’era anche una macchia di pomodoro sulla sua maglietta, mentre quella di Arianna era pulitissima come sempre.
Aprirono la porticina e uscirono fuori, giusto in tempo per vedere l’auto della mamma che arrivava.
“State aspettando da molto tempo?”
“No mamma, giusto un paio di minuti.”
“Vi siete divertiti alla festa?”
Sì, bah, insomma… raccontarono qualcosa alla mamma giusto per farla contenta, ma in realtà non avevano molta voglia di parlare di quello che avevano fatto.
Tornarono a casa e la vita ricominciò come al solito. Tranne che per Leonardo: ogni volta che gli veniva voglia di dormire in classe si dava un pizzicotto, e poi studiava ogni pomeriggio, perciò non prendeva più tutte insufficienze come prima. A quel punto cominciava ad aspettare con ansia la pagella di fine anno, che si avvicinava sempre di più.
Una sera il papà preparò una cena buonissima. La mamma aveva fatto una pastina che non sapeva di niente, poi papà portò in tavola un piatto di salsicce e patate che erano superfantabuonissime. Sai, con le patatine croccanti al punto giusto, le salsicce che ti facevano venir fame solo a guardarle, ed un sughetto che magari era anche pieno di colesterolo che fa male alla salute, però fa molto bene allo stomaco. Leonardo e Arianna ne mangiarono due piattoni ciascuno.
Fu Arianna a chiedere: “Papà, ma queste salsicce sono fantastiche! Come hai fatto a farle così buone?”
“Ah, ma io non ho fatto niente di speciale. Le ho cucinate come al solito, ma ho usato la padella nuova, quella che mi è arrivata ieri. Deve essere un regalo dei colleghi per il mio compleanno, loro lo sanno che mi piace cucinare. Anche se hanno fatto un po’ di pasticci: pensa che sul pacco c’era scritto il nome di Leonardo, non il mio. Ho dovuto convincere il corriere che mio figlio non avrebbe mai voluto una padella, e che doveva essere per forza la mia. Comunque è una padella bellissima.”
E solo allora Leonardo si rese conto che il genio aveva capito male il suo desiderio, perché è vero che aveva prenotato la visita dall’otorino, ma l’apparecchio acustico ancora non ce l’aveva. Invece di una pagella bellissima gli aveva mandato una padella. Bellissima, ma sempre una padella.
Però Leonardo in fondo, spinto dalla speranza di quella mitica pagella, aveva cominciato a studiare davvero, per cui la pagella di fine anno non fu proprio una cosa eccezionale, ma insomma non era niente male. Perciò da quella storia capì che non sempre serve un genio della lampada per esaudire i desideri: qualche volta basta smettere di dormire in classe e mettersi a studiare.