“Dottore, sono il maresciallo Di Maggio. C’è una brutta notizia.”
“Che cosa è successo?”
“Un morto ad Anacapri.”
“Ah.” Paolo rimase in silenzio al telefono, guardando il tempaccio che infuriava al di là del vetro. Non gli piacevano queste incombenze burocratiche, e gli sembrava uno spreco di tempo per un medico buttar via delle ore di lavoro per esaminare un cadavere. Se poi capitava in un giorno come quello, quando non era di turno in ospedale e pensava di restare a casa a leggere un buon libro, diventava anche una gran rottura.
“Maresciallo, ma è proprio necessario?”
“Sì, dottore, dobbiamo andare. Un poveretto è caduto da trenta metri e si è sfracellato sulla roccia, vicino a villa San Michele; la legge dice che in questi casi bisogna fare i rilievi.”
“Il magistrato è stato avvertito?”
“È già sul posto. Ci sta aspettando.”
Paolo cercò di abbozzare un po’ di resistenza: “Ma se il magistrato ha già esaminato il cadavere, non c’è bisogno che venga anch’io. Possiamo aspettare domani, quando torna anche il primario, così facciamo l’autopsia in ospedale…”
“È un caso sospetto, dovrebbe venire a vedere subito.”
“Con questo tempo?”
“Non si preoccupi, il lavoro grosso l’abbiamo già fatto. Il dottor Sottile è arrivato subito e ci ha autorizzato a recuperare il morto. Prima abbiamo fatto le foto, poi l’abbiamo tirato su con le corde e riportato a casa sua, perché abitava lì vicino. Un brutto lavoro, sono ancora bagnato fradicio. E quando siamo scesi c’erano già i gabbiani che beccavano gli occhi.”
Paolo si sentì contrarre lo stomaco. Faceva il medico da tanti anni, ma questi particolari macabri continuavano a dargli fastidio.
“Non possiamo proprio farlo domani, con il primario?”
“No, non possiamo aspettare tanto. E poi, con questo mare, secondo me il traghetto non arriva nemmeno domani.”
Il dottor Paolo Colapietra sospirò profondamente e raddrizzò la schiena, che negli ultimi anni tendeva ad incurvare troppo. Poi, con la schiena curva, tendeva a guardare al di sopra degli occhiali, come i vecchietti, e a piegare la testa verso il basso, così si notava ancora di più che i capelli sulla sommità della testa erano ormai proprio pochi. Male, molto male. Cercò di dar fondo a tutta la sua riserva di credibilità, e fece un ultimo tentativo, in verità poco convinto.
“Maresciallo, io lavoro per guarire i vivi, non per perdere tempo con i morti.”
“Forse non mi sono spiegato: non sappiamo ancora se quel poveraccio è caduto oppure l’hanno spinto. Ci sono ferite su tutto il corpo, e bisogna capire se è stata la caduta o qualcos'altro. Lei è il medico di guardia all'ospedale, quindi insisto: deve venire a vedere.”
Paolo sospirò di nuovo, e si sforzò di guardare le cose dal punto di vista del maresciallo.
“Ho capito. È giusto, le ferite sarebbe meglio vederle subito, ma è un lavoraccio, e senza fare una vera autopsia non si risolve granché. Insomma, secondo me è inutile.”
“Dottore, ci vediamo tra quindici minuti all’ospedale.”
Il mare era mezzo verde e mezzo bianco, e l’acqua veniva giù a secchiate. Era difficile camminare anche nelle stradine strette e riparate vicino casa; quando poi superò la piazzetta e imboccò via Roma, fino allo spiazzo aperto davanti all’ospedale, col vento che sembrava voler buttare giù i segnali stradali, Paolo si ricordò del tempaccio che lo perseguitava quando lavorava in Inghilterra. È vero, non era così freddo, e almeno a Capri non c’era la neve, ma un giorno di bufera così, sull’isola, non l’aveva mai visto.
Fece un rapido giro in reparto, dove c’erano solo tre pazienti. Una era una signora vicina alla data del parto; aveva tutta una serie di patologie e non era giovanissima, perciò non sarebbe stato un parto facile. Paolo pregò che il bambino decidesse di aspettare ancora fino a domani, perché con questo tempo, se mai succedeva qualcosa, non poteva sperare di chiamare l’elicottero da Napoli. Poi si ricordò di sua nonna, che gli diceva sempre ’aiutati, che Dio t’aiuta’, e decise di mandare l’infermiera a preparare una flebo. Con quella, il bambino sarebbe rimasto al caldo almeno per altre ventiquattr’ore, e non gli avrebbe fatto male. Forse avrebbe fatto male al papà, già così nervoso che fumava una sigaretta dopo l’altra, ma in fondo era colpa sua se non aveva ancora smesso.
Mentre si perdeva in questi pensieri inutili, gli venne in mente che magari poteva ancora evitarsi almeno una parte del lavoro che lo aspettava, e richiamò il maresciallo, che era ancora ad Anacapri.
“Maresciallo, sono di nuovo il dottor Colapietra. Senta, ma se il magistrato ha già fatto i rilievi sul posto, non possiamo trasportare subito il cadavere qui all’ospedale, così posso lavorare con tutti gli strumenti che mi servono?” E anche al caldo senza bagnarmi, ma questo Paolo lo pensò soltanto, non ebbe il coraggio di dirlo. Poi sentì in sottofondo il maresciallo che parlottava con un certo signor Magliulo, e questo che rispondeva ad alta voce: “non possiamo portarlo con la barella sulla stradina, è tutto fango. Va a finire che cado pure io giù, e ve ne trovate due di cadaveri da esaminare…”
“Maresciallo” fece Paolo “se ho capito bene, dovrei venire io fino a lassù?”
“Ha capito bene. Prepari l’attrezzatura, la vengo a prendere.”
Paolo preparò la borsa chirurgica, poi prese anche la macchinetta fotografica. Le foto le avevano già fatte, ma non si sa mai.
Si fermò davanti alla finestra della sua camera, e si mise a guardare attraverso il vetro.
La pioggia picchiava rumorosa, sul lato sinistro della finestra la guarnizione non reggeva, e un rivoletto d’acqua scendeva silenzioso sul pavimento di linoleum grigio. Fuori non si vedeva quasi niente; chissà i poveri turisti, magari arrivati da Tokio o dall’Australia, che maledizioni esotiche stavano bestemmiando nei loro alberghi.
Passò un’eternità, e il forte desiderio di una sigaretta, poi ci fu da cambiare la flebo alla vecchietta in reparto, e arrivò la caposala con l’inventario delle medicine da firmare.“Lo so che lei non è di turno oggi, dottore, ma visto che è venuto...” Finalmente si videro i fari e la vecchia Fiat blu dei carabinieri. Paolo uscì di corsa, e scoprì con piacere che la pioggia si era già ridotta di molto, anche se il vento odorava ancora di bufera.
Cominciarono la salita verso Anacapri con qualche difficoltà, perché la strada era un incubo: in alcuni punti sembrava di guidare in un torrente, ma almeno adesso pioveva poco. Però il mare, anche a guardarlo dall’alto, si vedeva che era proprio incazzato: per oggi, niente traghetti; chissà domani.
“Dottore, ho pensato di portare un paio di stivali anche per lei.”
“Stivali?”
“Sì, vede, la strada che porta alla casa è piena di fango, e con le scarpe che ha addosso ci sarebbe qualche problemino.”
Paolo sospirò ancora una volta. Aveva penato per anni per venire a fare il medico all’ospedale di Capri; ora che ci era finalmente riuscito si aspettava di fare una vita tranquilla d’inverno, magari un po’ mondana d’estate, conoscere persone interessanti, avere tempo per le sue letture… insomma, si aspettava di tutto, tranne che dover mettere gli stivaloni per lavoro. Ma oggi evidentemente era un giorno speciale.
“Il magistrato è ancora sul posto?”
Il maresciallo lanciò un’occhiataccia e perse subito il sorriso. “No, mi ha detto che non era più necessario. Il dottor Sottile è convinto che sia una disgrazia.” Dal tono di voce, si capiva molto bene che il maresciallo non era d’accordo. “Ha detto solo di completare i rilievi del caso, e che domani si farà sentire lui per chiudere il fascicolo.”
Paolo si sentì piuttosto sollevato all’idea di non dover vedere il magistrato. L’aveva incontrato solo due volte, e gli era cordialmente antipatico. Aveva un cognome che sembrava una barzelletta, per un uomo di legge, ma era perfettamente adeguato alla persona: un tipo che viveva per i codici, e dimenticava le persone. Uno dei tanti che, nella vita, hanno sbagliato professione. Meglio così, almeno il maresciallo era di buona compagnia.
“Chi è il morto? Era uno di qua?”
“No, un tedesco. Era un artista, lo chiamano tutti ‘il maestro’, e pare che sia molto famoso, in Germania.”
“Lei lo conosceva'”
“Non proprio, non direttamente. Però so qualcosa di lui, ne avevo sentito parlare. Abita qui da parecchi anni, prima che lei arrivasse all'ospedale.”
Paolo sorrise e si chiese se davvero, come si diceva, il maresciallo sapesse tutto di tutti i residenti; magari anche del dottor Paolo Colapietra. Chissà, gliel'avrebbe dovuto chiedere, un giorno o l'altro. Magari avrebbe capito finalmente che cosa pensavano di lui i veri capresi.
Ad Anacapri proseguirono fin dove poteva arrivare l'auto, poi scesero e si avviarono a piedi verso Villa San Michele. I proprietari dei vari negozietti erano tutti lì, a verificare i danni del maltempo. A qualcuno era andata davvero male, perché si vedevano un paio di botteghe completamente allagate, e i danni sembravano sostanziosi. Oddio, niente che non si potesse mettere a posto con l’incasso di un paio di giornate di quelle buone: i commercianti dell’isola di Capri non sono mai stati una categoria con grossi problemi economici, probabilmente fin dai tempi di Tiberio.
Dopo un centinaio di metri girarono a destra, verso le pendici del monte Solaro. Ora non pioveva più, ma a terra c’era molto fango e detriti scivolosi; era facile capire perché non si poteva trasportare il cadavere. La stradina si inerpicava verso l’altro versante, seminascosta tra gli arbusti, e a strapiombo sul dirupo. Paolo non c’era mai stato; riconosceva la zona, naturalmente, che era praticamente di fronte a casa sua sull’altro lato dell’isola, ma non pensava che qualcuno potesse aver costruito un’abitazione proprio lì.
“Era un tipo piuttosto strano, questo signor Kammerlander, a vivere qui isolato.”
“Eh, ma non ci abita mica solo lui. Dietro i ruderi del castello ci sono tre o quattro villette. Belle case.”
“Roba da ricchi.”
“Come tutto, qui a Capri.”
“E lui era ricco?”
“Pare di sì. Però faceva vita da pezzente: mai al ristorante, mai al bar, sempre solo con la nipote.”
“È veramente la nipote?”
“Dottore, ma che, mi vuole rubare il mestiere?”
“No, è solo curiosità. Una volta frequentavo molti artisti, quando ero un po’ più giovane, e ho scoperto che hanno idee strane, si considerano al di sopra della morale. Quanti anni aveva il maestro?”
“Settantaquattro. E la nipote trentuno. Ma ho controllato, ho parlato già col console onorario di Germania, lui ha fatto le sue ricerche col computer, e mi ha tirato fuori lo stato di famiglia del maestro. Io il tedesco non lo so, ma comunque ho visto che su quel foglio ci sono tutti e due i nomi: Wolfgang Kammerlander e Clara Weissach, che sarebbe la nipote, la figlia della sorella. È strano, perché è un nome italiano.”
“Credo che sia un nome che si usa anche in Germania. Anche la moglie di Schumann si chiamava Clara.”
“E chi è questo Schumann?”
“È un altro artista, maresciallo. Quello però non ci interessa, è morto già da qualche anno.”
Camminarono ancora un po’, e arrivarono alla frana. Il fango sceso dalla montagna aveva tirato giù il muretto, e la stradina era diventata una pista sconnessa, scivolosa e pericolosissima: sotto, il salto era impressionante. Qualcuno aveva tirato una corda per fare una specie di ringhiera, ma quel posto faceva paura.
“È qui che è caduto?”
“Sì, l’abbiamo trovato qua sotto. Guardi: si vede ancora quel cespuglio sulla destra ammaccato dal cadavere, era proprio lì.”
“Come l’avete tirato su, con questo fango?”
“Mi hanno aiutato i giovanotti della funivia, con le corde da alpinismo e le scale lunghe.”
La casa era poco vistosa ma ben fatta, tutta in pietra e immersa nel verde. A destra dell’ingresso, un minuscolo giardino con delle strane sculture in tufo e tanti fiori, oggi maltrattati dal brutto tempo, ma pronti a rifiorire alla prima giornata di sole.
Aprì la nipote e aveva gli occhi arrossati dal pianto. Era carina, ma con venti chili di troppo; una bionda naturale non troppo chiara, e mille piccole rughe intorno agli occhi che la invecchiavano un po’.
“Buongiorno. Lei è il dottore?”
Parlava italiano con un accento appena percepibile, giusto qualche consonante un po’ dura.
“Paolo Colapietra. Le mie condoglianze.”
“Il maresciallo mi ha spiegato che vuole fare l’autopsia. È proprio necessario? Mio zio voleva essere cremato.”
Paolo guardò il maresciallo, e fece una smorfia per nascondere un sorriso.
“Veramente non sono io che voglio fare l’autopsia. È necessario, ma sarà una cosa molto rapida, e dopo potrà far cremare il cadavere.”
“Ma la farà adesso? L'autopsia non si fa in camera operatoria?”
“Sì certo, l’autopsia si farà in ospedale, dobbiamo aspettare che si possa trasportare il defunto. Adesso sono venuto solo a fare un esame visivo del cadavere.”
“Venga, l’abbiamo composto nel suo studio.”
Si voltò e precedette Paolo verso l’altro lato della casa, dopo un momento di esitazione, come se avesse voluto dire qualcosa.
Si apriva una porta, e sembrava di entrare in un altro mondo. La stanza era ampia, con due grandi finestre, e il panorama era mozzafiato. Tutto intorno, tele già completate o appena abbozzate, tubetti di colore, e pennelli; in un angolo un forno per la ceramica, tanti pezzi di terracotta da cuocere, alcuni piatti smaltati, un busto e alcune statue in bronzo, e infine lo stampo per un volto di donna, in cera, appena cominciato.
A guardare quei quadri senza pensarci, alcuni potevano sembrare gli scarabocchi di un bambino, ma poi ti accorgevi che c’era qualcosa di diverso. Qualcosa che ti costringeva a guardare un’altra volta, a seguire i colori, a immaginare un paesaggio, una musica, un’emozione. Intorno alla finestra che guardava i faraglioni c’era una grossa cornice dorata; un trompe l’oeil che Paolo ricordava di aver già visto a villa Malaparte. Oggi incorniciava un’opera d’arte dove comandavano il vento e il mare in tempesta.
Era difficile credere che il piccolo uomo disteso sul letto avesse creato tutto questo. Il corpo era minuto, fragile, e sembrava quello di un malato. Solo guardando da vicino si capiva quanto quel cadavere fosse stato martoriato: un piede era piegato ad un angolo assurdo, e la testa non era bella da guardare. C’era un giovane appuntato, seduto in un angolo, che il maresciallo aveva lasciato lì di guardia; a Paolo venne spontaneo pensare ad una delle statue del maestro che avesse preso vita, per una magia strana, alla morte del suo creatore.
Paolo si dedicò al suo sgradevole lavoro, ed esaminò il cadavere con attenzione. Il maresciallo rimase solo con lui, in silenzio per quei pochi minuti che non finivano mai.
“Dottore, ma lei ha capito bene quello che voglio sapere?”
“Maresciallo, io non sono un medico legale, ma sto cercando ferite o tagli netti che potrebbero essere causati da armi da taglio, e finora mi pare che non ce ne siano. Per le fratture alla testa è più difficile dare un giudizio: potrebbero essere state causate da colpi inferti con un oggetto duro, questo è vero, però vedo che i siti delle fratture sono tutti e due sporchi di terriccio, quindi è più probabile che la causa sia stata l'urto con qualche pietra durante la caduta. Per essere sicuri bisogna aprire, e verificare all’interno. Gli occhi, poi…”
“Li hanno mangiati i gabbiani. Il cadavere è rimasto laggiù per molte ore.”
“È possibile, perché i tessuti sono strappati e lacerati. È difficile da dire con certezza, ma mi sembra anche di sentire puzza di pesce, e questo quadrerebbe, è vero? Non penso che un gabbiano di solito si lavi il becco dopo aver mangiato. Anche qui, per un esame più completo ci vorrà l’autopsia, perché bisogna verificare se ci sono particelle estranee nelle cavità orbitali. In pratica, degli occhi non è rimasto niente. Un cadavere martoriato, che ha subìto una brutta morte, ma da quello che sembra a prima vista la causa della morte è stata proprio la caduta. Se poi qualcuno l’ha spinto giù, come sospetta lei, l’autopsia non ce lo potrà dire, e probabilmente non lo sapremo mai.”
Si sentì bussare alla porta, e un giovane robusto entrò nella stanza. Sembrava indiano, o di quelle parti. Chiese se poteva pulire il resto della casa, o se doveva lasciare tutto com’era; il maresciallo gli disse di non toccare ancora niente, e lui uscì silenzioso.
“Maresciallo, ma chi è quello lì?”
“È Antonio, viene dallo Sri Lanka. Ho dovuto prendere l’atlante per capire dov’è.”
“Lavora qui nella casa?”
“Sì, faceva tutto lui.”
“Antonio non è un nome orientale. È un tipo sospetto. E se fosse stato lui?”
“Dottore, l’ho già detto che non mi deve rubare il mestiere. Antonio si chiama così perché è di famiglia cattolica, ha studiato dai gesuiti al suo paese, poi è venuto qui e ha trovato l’America. Lo pagano un sacco di soldi, ogni tanto va a fare lavoretti fuori, e d’estate aiuta in qualche negozio, perché sa pure bene un paio di lingue. Secondo me guadagna il triplo del mio stipendio. Quello lì oggi ha avuto una disgrazia, peggio che se gli moriva uno di famiglia, perché non lo trova mica un altro che lo paga quanto il maestro.”
Paolo si girò per nascondere un sorriso. A guardare il maresciallo, piccolo e panciuto, sembrava una mezza calzetta e non l'avresti mai preso molto sul serio, ma certamente sapeva fare bene il suo lavoro.
L’interruzione fu breve, e Paolo si trovò ad esaminare le mani del cadavere. “Maresciallo, guardi, questo è interessante. Sotto le unghie c’è del terreno, e una la vedo spaccata. Questo può significare solo che il defunto ha tentato di aggrapparsi a qualcosa mentre scivolava, e quindi che certamente era ancora ben vivo quando è caduto giù. Penso che si possa anche confrontare il tipo di terreno con quello del costone da dove è scivolato, giusto per essere sicuri.”
“Anche questo è mestiere nostro, controlleremo. Insomma, dottore, tutto quello che si vede direbbe che si tratta di morte naturale, tranne gli occhi.”
“Per essere davvero sicuri bisogna fare l’autopsia: serve la sala operatoria attrezzata e tutti gli strumenti, ma penso che anche così non troveremo niente. Maresciallo, scusi, ma che c’entrano gli occhi?”
“Niente, stavo solo ragionando. Ho saputo che il maestro aveva avuto un sacco di problemi con la vista, da un occhio non ci vedeva quasi, e dall’altro era molto miope. Non si notava perché portava sempre le lenti a contatto, ma senza le lenti era quasi cieco. È strano che proprio gli occhi non ci siano più.”
Non c’era più nulla da dire. Il maresciallo stupì Paolo facendosi il segno della croce, e coprendo rispettosamente il cadavere prima di uscire dalla stanza. Tornarono verso Anacapri camminando in fretta, il bavero alzato a ripararsi dal vento freddo che tagliava la faccia e portava lo stridìo dei gabbiani dalle pareti a picco, sotto il monte Solaro; quei gabbiani che avevano mangiato gli occhi di un uomo, insieme con le sue lenti a contatto.
A metà strada il maresciallo si ricordò che doveva trovare un sostituto all’appuntato che ormai era lì di guardia da molte ore; si scusò, e lasciò Paolo da solo. “Ci sentiamo domani” disse, “per l’autopsia.”
Paolo tornò in paese, senza niente di importante da fare. Bighellonò un poco in giro per Anacapri, dove andava raramente: fece acquisti in un negozio di fotografia di cui conosceva il proprietario, poi prese un cappuccino in un bar, e lì trovò Enzo, un caro amico con cui giocava sempre a calcetto.
“Hai saputo del vecchio Wolf, l’artista?”
“Ho saputo più di quello che avrei voluto. Sono andato con il maresciallo adesso ad esaminare il cadavere.”
“Già, dimenticavo che sei – come si dice – presidio medico dell’isola?”
“Proprio così. Domani mi tocca anche l’autopsia, e non è un bel lavoro, ti assicuro.”
“Immagino. Comunque, lo sai che Wolf era stato da mio fratello, alla bottega, proprio ieri?”
“Alla bottega?”
“Ma sì, a vedere come si lavora il ferro battuto. Gli avevano commissionato delle sculture grandi, in bronzo e ferro, per un giardino pubblico da qualche parte in Germania, però lui non poteva fare la parte in ferro perché gli serviva una saldatrice industriale per assemblare i pezzi. Perciò si era messo d'accordo con Rino per farsi fare le impalcature di supporto, tutte saldate e lavorate secondo il suo disegno, e poi ci avrebbe montato sopra i pannelli di bronzo. Rino era molto contento perché era un bel lavoro, e ci sarebbe stato anche il suo nome. Sai, con tutti i turisti tedeschi che passano di qua, era una bella referenza, già aveva pensato di mettere le foto nella bottega.”
Nella testa di Paolo c’era qualcosa, un pensiero, un ricordo, un’idea che non riusciva a mettere a fuoco. Perché era così interessante questa cosa?
Rimuginò pensieri indefiniti per qualche minuto, poi tornò a prendere il pulmino per Capri, visto che il maresciallo se n'era andato con la macchina e l'aveva lasciato a piedi.
A due passi dalla fermata, vide Antonio, il silenzioso domestico del morto. Portava su una spalla un grosso rotolo di fil di ferro robusto, e una cassetta di plastica con degli attrezzi; probabilmente andava a sistemare una ringhiera di fortuna lì dove era crollato il muretto della stradina. Paolo lo salutò con un cenno del capo, e lui sorrise.
Il tempo si stava calmando rapidamente. Ora non pioveva, e la strada che portava giù a Capri era quasi asciutta, soltanto un paio di curve erano ancora invase dal terriccio e dai sassi; anche il mare era ancora agitato, ma non sembrava più terribile come poche ore prima. Chissà, magari se aveva fortuna domani avrebbero potuto trasportare il cadavere all’istituto di medicina legale di Napoli per l’autopsia; un lavoro sgradevole risparmiato.
Dopo l’ultimo tornante, un taxi superò frettolosamente il pulmino. Sul sedile di dietro c’era una sagoma nota: era proprio lei, la nipote di Wolf, con un paio di occhiali scuri e una grossa borsa sulle ginocchia. Chissà che cosa andava a fare a Capri. Una morte in famiglia porta tante incombenze sgradevoli: burocrazia, spese, cose da organizzare in fretta. Per un attimo quella giovane donna straniera, ora sola, gli fece un po’ pena.
Era appena arrivato a casa, quando il maresciallo telefonò.
“Dottore, sono Di Maggio. Ma il cellulare era spento?”
“No, era acceso, ma al sicuro nel cassetto qui a casa.”
“La sto cercando da un’ora. Ho saputo che il primario arriva stasera, perché il mare è un poco meglio e parte l’ultima corsa del traghetto. Volevo organizzare l’autopsia per domattina presto, e bisogna mettere il cadavere da qualche parte all’ospedale.”
“Perché, non può restare a casa?”
“Dottore, in questi casi non si lascia un cadavere in un'abitazione privata. Io sono convinto che quello lì l’hanno ammazzato. Era veramente ricco, ho controllato, e le sue opere valgono un sacco di soldi, anche se le vende solo in Germania perché qua non si è fatto conoscere abbastanza. Ho paura che se il corpo rimane in quella casa qualcuno possa metterci le mani sopra, e poi il risultato dell’autopsia non servirà più a niente. Dovrei lasciare un uomo di guardia tutta la notte, ma non ce l'ho, e non posso neppure pagare gli straordinari.”
Paolo alzò gli occhi al soffitto. Il simpatico e pignolo maresciallo Di Maggio, costretto da troppo tempo a occuparsi di insegne abusive, tassisti che truffavano i turisti e discoteche che facevano troppo rumore, si stava inventando il suo omicidio. Va bene: domani avrebbero fatto questa autopsia con tutta l’attenzione possibile, e avrebbero chiuso per sempre la faccenda, confermando che si trattava di un incidente, rubando al maresciallo il suo momento di gloria. A volte la vita è crudele.
“Ho capito, maresciallo, lo faccia trasportare all'ospedale, così siamo tutti più tranquilli. Arrivo appena posso per sistemare le cose.”
Quella notte i resti mortali di Wolfgang Kammerlander riposarono nella sala mortuaria del piccolo ospedale di Capri, dietro la porta di ferro ben chiusa con un lucchetto supplementare.
La mattina dopo il telefono squillò abbastanza presto, e stranamente non era il maresciallo.
“Pronto, Paolo? Sono Rino, il fratello di Enzo Torriero.”
“Ciao Rino, dimmi. Hai deciso di ricominciare a giocare a calcetto con noi il giovedì?”
“No, non è per questo, ti telefono per Wolf, il maestro. Mi è dispiaciuto moltissimo; sai, eravamo diventati amici negli ultimi mesi. Era una persona eccezionale, ci si poteva parlare veramente di tutto. Simpaticissimo, con quell'accento tedesco che sembra il papa, mi faceva ridere solo a sentirlo parlare. E poi era davvero un artista, aveva delle idee fantastiche. Era stato l’altro giorno da me, gli avevo insegnato ad usare il saldatore ad arco, perché dovevamo fare un lavoro insieme.”
“Lo so, me l’aveva detto tuo fratello.”
“È vero che è all’ospedale, adesso? Volevo venire a vederlo l’ultima volta.”
“Sì, è all’ospedale, ma stamattina dobbiamo fare l’autopsia, e ti avverto che non è un bello spettacolo.”
Rino rimase qualche secondo in silenzio. Sapeva com'era morto Wolf, e decise che forse era meglio ricordarlo ancora vivo.
“Non sai dove si fa il funerale?”
“Non ne ho idea. Il maresciallo Di Maggio ha praticamente sequestrato il cadavere, è convinto che l’abbiano ammazzato.”
“Lo so, è venuto anche da me, il maresciallo. Mi ha fatto un sacco di domande, voleva sapere che cosa aveva fatto, che cosa aveva detto. Pare che sia morto poco dopo che se n’era andato dalla bottega.”
“Pioveva già quando è andato via da te?”
“Sì, è andato via sotto il diluvio, poco dopo la nipote. Mi hanno detto che è andato prima a casa, poi è uscito di nuovo ed è scivolato nel burrone; questo secondo il maresciallo. Non capisco perché sia uscito di nuovo, con quel tempaccio. Evidentemente la strada era franata proprio allora.”
“Hai detto che stava con la nipote?”
“Sì, è rimasta quasi tutto il pomeriggio con noi.”
“È stata proprio una brutta disgrazia. Ma che tipo è quella nipote?”
“Piuttosto antipatica, tutto il contrario dello zio. Non è che ci sia un motivo, però; è antipatica e basta. Saranno gli occhiali che porta, sembra una professoressa di matematica zitella.”
“Gli occhiali? Quando l'ho vista io non portava gli occhiali.”
“E che vuol dire? Magari aveva le lenti a contatto, ma sempre antipatica resta. Però mi dispiace molto per Wolf”
“Rino, una piccola curiosità: ma tu in officina usi il saldatore elettrico, quello che fa la scintilla?”
“Si chiama saldatore ad arco. Di solito uso di più quello ad acetilene, ma per il lavoro con Wolf abbiamo fatto tutte saldature ad arco.”
“Scusami ma ti devo salutare, devo andare al lavoro adesso. Ti chiamo appena so qualcosa del funerale.”
Paolo rimase un momento con la cornetta in mano, poi fece un altro numero. Era quello di un suo collega dei tempi dell’università.
“Buongiorno, Stefano. Ti disturbo a quest’ora?”
“????”
“Sono Paolo Colapietra.”
“Paolo! Santo cielo, da quanto tempo non ti sentivo! Che fine hai fatto? Stai sempre a Capri?”
“Sì, ormai sono diversi anni, e non ho nessuna intenzione di andarmene. E tu non sei mica venuto a trovarmi.”
“Che vuoi, mica posso permettermi questi posti di lusso.”
“Non sfottere, che ti conosco bene. Senti, mi dispiace disturbarti per questo, ma ti volevo fare una domandina piccola piccola.”
“Sentiamo.”
“Mi ricordo male, o nel tuo corso all’ultimo anno c’era una ragazza tedesca?”
“Uhm, tedesca… sì, è vero. Si chiamava Clara qualchecosa, il cognome non me lo ricordo più. Era magrissima ma molto carina, all’epoca ci provai pure, ma mi dette buca.”
“E sai che cosa ha fatto dopo la laurea?”
“Boh, non ne ho proprio idea. Non credo che sia rimasta a Napoli, ne avrei sentito parlare nell’ambiente. Ricordo che fece una bella tesi di laurea in oculistica, credo che si volesse specializzare in quel ramo, forse sarà tornata in Germania.”
“Secondo me, l’ho ritrovata a Capri.”
“È ancora carina e single?”
“Abbastanza carina, ma ha messo su troppi chili. Single non lo so, ma non è un buon partito.”
“Perché?”
“Te lo racconto tra qualche giorno.”
L’autopsia fu tutto sommato abbastanza rapida, e il maresciallo si fece spiegare tutto almeno tre volte. Alla fine chiuse il suo blocco di appunti, e scosse la testa deluso.
“Insomma, maresciallo, non è un omicidio.”
“No, dottore, io sono convinto che è omicidio, solo che non si può dire. Non è caduto da solo, l’hanno spinto giù. Però l’altra sera c’era la frana, il muretto era crollato, ed è bastata una piccola spintarella. Non c’era nessuno, e non lo sapremo mai.”
“Chi prende i soldi?”
“L’eredità? Ha lasciato tutto ad una fondazione. C’è il testamento, autografo e valido, scritto in italiano e in tedesco, e depositato dal notaio Varriale.”
“E allora perché l’avrebbero ammazzato?”
“Non lo so. Ma una disgrazia non è stata, di questo sono sicuro.” E il maresciallo uscì dalla stanza, visibilmente contrariato.
Paolo tornò in reparto, e cercò di lavorare. Era tornato il primario, ed era tornato anche il caos: c’erano stati otto ricoveri in poche ore e la caposala si era ammalata, ma Paolo non riusciva a combinare niente di buono. Aveva qualcos’altro in testa. Dopo pochi minuti, decise di scendere a prendere un caffè per riordinare le idee.
Clara era sola, nel cortile dell’ospedale. Fumava, ma sembrava che non ci fosse abituata; Paolo ricordò che non aveva visto ceneriere in quella casa. Da quando aveva smesso di fumare, era una delle prime cose che notava.
“È finita l’autopsia?”
“Sì.” Paolo si accorse allora che nessuno l’aveva avvertita, e se ne vergognò.
“Spero che mio zio possa finalmente trovare pace, adesso. Domani sarà cremato, e spargeremo le sue ceneri nel mare, come voleva. Ha lasciato un grande vuoto.”
Paolo aspirò profondamente, guardando da un’altra parte. Sentì l’odore del tabacco, lo percepì come caldo e invitante, e questo lo fece innervosire.
Adesso aveva tutto chiaro nella sua testa: tutti i pezzi combaciavano, tutto era evidente, eppure non serviva a nulla. Wolf era morto, e nulla l’avrebbe riportato in vita.
Si allontanò di un passo per non sentire il fumo, e per un attimo chiuse gli occhi. Sentì nelle orecchie il verso dei gabbiani, non erano lontani da lì, e decise di parlare.
“Io so che l’hai ucciso.”
Clara si voltò lentamente, troppo attenta a non mostrare emozioni sul suo viso.
“Che vuol dire?”
“So tutto quello che è successo. Quando siete andati dal fabbro sei rimasta quasi tutto il pomeriggio con tuo zio. Non lo facevi di solito, ma questa volta era necessario, perché dovevi assicurarti che restasse abbastanza tempo vicino al saldatore ad arco, guardando da vicino per capire come si lavorava il ferro. È vero, aveva gli occhialini da saldatore per la protezione degli occhi, ma tanto le microonde passano lo stesso, e tu lo sai bene. Tu sai che una lunga esposizione alle microonde asciuga lo strato di liquido tra la lente a contatto e il cristallino, e salda la lente all’occhio. Per questo tu portavi gli occhiali quel giorno, non le lentine. Tu queste cose le hai studiate, ed eri anche molto brava all'università. Chi ti ha pagato gli studi in Italia? Tuo zio?”
“Che cosa vuol dire tutto questo? Non capisco!”
“Lo sai bene che cosa vuol dire. Tuo zio è tornato a casa poco dopo di te. Diluviava, il muretto era già crollato, e la stradina era diventata pericolosa: era il momento ideale. Come tutte le sere, tuo zio si è tolto le lenti a contatto, per prima quella dell’occhio da cui ci vedeva, come faceva sempre. Ma questa volta il cristallino si è strappato, e lui è diventato praticamente cieco, senza più l’unico occhio buono. In un momento si è ritrovato al buio, in un mondo di ombre. Che cosa ha fatto? Ha urlato dal dolore, oppure non si è reso conto subito di quello che era successo? Ha perso la testa, oppure è rimasto calmo? E tu, tu che cosa gli hai raccontato? Gli hai fatto credere che lo portavi in ospedale? Magari gli hai detto: ‘non è niente, appoggiati a me, appena arriviamo sulla strada asfaltata prendiamo un taxi e corriamo in ospedale, qui sono bravi, ti ricostruiscono la cornea e in due giorni vedrai meglio di prima, attento a dove metti i piedi, si scivola…’, ma quando siete arrivati alla frana, l’hai spinto giù. È stato facile, era anziano, non vedeva, c’era fango a terra… E poi gli occhi, mangiati dai gabbiani: quello sì che è stato un colpo di fortuna. Oppure l’hai aiutata tu la fortuna? Che hai fatto, gli hai detto qualcosa come ‘aspetta, metto subito questa pomata, ti calmerà il dolore mentre arriviamo all’ospedale’, oppure hai trovato qualche scusa più fantasiosa? Lui si fidava di te, sapeva che sei oculista, e invece tu hai soltanto usato qualcosa che odorava di pesce, per attirare i gabbiani. Cos’era, pasta di acciughe? Oppure l’olio delle scatolette di tonno? Comunque sei stata brava, ha funzionato: degli occhi non è rimasto niente, e anche l’autopsia non può dimostrare quello che è successo.”
“È falso! È tutto completamente falso!”
“No, è tutto vero, e tu lo sai. Ma c’è una cosa che ancora non sai: è che non avrai niente. C’è un testamento, e tuo zio lascia tutto ad una fondazione. Tutto: la casa di Capri, la casa di Berlino, i quadri, i contanti. Era una persona generosa, tuo zio. L’hai ucciso, e sei riuscita a non lasciare prove. Io non sono in grado di accusarti, non posso provare niente, non posso farti pagare per quello che hai fatto, ma posso farti di peggio: posso dirti che dovrai lavorare nella vita. Niente estati a Capri, niente viaggi e ville di lusso. Hai ucciso una persona che ti voleva bene, e l’hai fatto per niente.”
Paolo si accorse di ansimare. Aveva parlato senza interruzione, senza riprendere fiato, e quasi urlando. Si allontanò di un altro passo da Clara, e abbassò la voce.
“Non vorrei avere i tuoi incubi, stanotte."
Due gabbiani passarono bassi sopra l’ospedale, portati dal vento senza rumore. Andavano verso Ovest, e da quel lato le nuvole già si aprivano, per far passare uno spicchio di azzurro.
La tempesta era finita.